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sabato 10 agosto 2013

Oggi vi presento una rivista che tutti voi aspiranti innovatori magari già concoscerete; qualora così non fosse, rimedaite immediatamente , leggete qui sotto e poi navigate verso Wired

Wired.it


Un po' di storia: 



Wired (letteralmente "collegato", "cablato") nasce nel 1993 a San Francisco ad opera del giornalista newyorkese Louis Rossetto e della sua compagna Jane Metcalfe. Furono aiutati a lanciare la rivista dall'imprenditore informatico Charlie Jackson e da Nicholas Negroponte, noto creatore del Mit Media Lab che, non solo collaborò con la rivista dal 1993 al 1998[2], con una rubrica fissa, ma ne fu anche il primo investitore. Fin dal suo lancio, la rivista ebbe enorme successo e nei primi quattro anni di vita vinse due National Magazine Awards nella categoria General Excellence e uno nella categoria Design.
Dall'aprile 1995 al marzo 1997 vi è stato il tentativo di un'edizione britannica della rivista, nato dalla collaborazione del Guardian Media Group con i proprietari dell'epoca di Wired Us; l'esperimento risulta fallimentare e dura breve tempo, forse anche a causa di un disaccordo tra le due parti[3].
Nel numero di giugno 2006, Jeff Howe conia il termine Crowdsourcing, nel suo articolo "The Rise of Crowdsourcing"[4] definendo un modello di business.
Dal giugno del 2001 il direttore di Wired è Chris Anderson, che, in un articolo della rivista, nell'ottobre del 2004, ha coniato il termine Coda lungathe long tail in inglese; l'espressione descrive alcuni modelli economici e commerciali, il suo significato è stato poi approfondito nel libro La coda lunga. Da un mercato di massa a una massa di mercati.
Nel mese di marzo del 2009 esce l'edizione italiana della rivista e, un mese dopo, anche la nuova versione britannica, la cui direzione è affidata a David Rowan, mentre quella del sito wired.co.uk, è affidata, dal gennaio 2010, a Nate Lanxon.

Wired in Italia

Wired. Storie, idee e persone che cambiano il mondo
StatoItalia Italia
LinguaItaliano
PeriodicitàMensile
GenereTecnologiaStile di vita
Fondazione2009
SedeMilano
EditoreCondé Nast
DirettoreMassimo Russo
Sito webhttp://www.wired.it/
A partire dal 19 febbraio 2009 viene pubblicata anche la versione italiana di Wired (con l'uscita del primo numero nel mese di marzo 2009), la cui copertina è dedicata alPremio Nobel Rita Levi-Montalcini.[5][6] Il nome scelto è Wired. Storie, idee e persone che cambiano il mondo, dato che la sola parola "Wired" era di difficile comprensione per il pubblico italiano. Il direttore è Riccardo Luna. Egli si è assunto la responsabilità di far emigrare oltreoceano un format che negli USA ha fatto la storia, da 15 anni Wired è considerata la "bibbia" della rivoluzione digitale. Wired Italia rimane identico a quello americano per lo stampo innovativo, ma differente perché non più del 20% dei contenuti vengono tradotti da Wired USA.
Caratteristica peculiare di Wired Italia è la grafica. Grazie all'art director David Moretti, la grafica di Wired Italia si posiziona infatti tra le migliori riviste del mondo[7]. A decretarlo è stata la SPD ovvero la Society of Publication Designers che, nel 2010, ha incluso la rivista italiana nel novero di 16 testate in lizza per aggiudicarsi il titolo di “Magazine of the Year”.
Per mantenere vivo il dialogo con i lettori Wired Italia ha optato, oltre al faccia a faccia su Current TV, al sito ufficiale della rivista, Wired.it, la cui redazione è anche presente sui social network per uno scambio reale, peer to peer, con i suoi lettori. Il sito italiano è stato lanciato in contemporanea all'uscita in edicola del mensile Wired, sviluppato e coordinato da Condé Nast; il direttore è lo stesso Riccardo Luna[8].
Nell'editoriale del numero di maggio 2009, Riccardo Luna trascrive parte di un discorso che ha tenuto durante l'Innovation Forum di Milano[9], il 24 marzo 2009, riguardo Internet. Il discorso confluirà poi nella sua adesione al progetto Io amo Internet.
Nel numero di agosto 2009, Fabio Andriola e Alessandra Gigante scrivono l'articolo "Chiedi chi era quel «Beatle», nel quale documentano l'indagine eseguita dai periti Gabriella Carlesi (anatomopatologa) e Francesco Gavazzeni (informatico), riguardo alla Leggenda della morte di Paul McCartney. Sorprendentemente le indagini accurate dimostrerebbero l'attendibilità della leggenda[10].

http://it.wikipedia.org/wiki/Wired

Vi si trovano articoli di varia natura, nelle varie rubriche "Daily"; "Gadget land"; "Life"; "Italian valley"; "money"; "tv"; "blog"; quello che incollo sotto appartiene alla rubrica "Daily"

http://daily.wired.it/news/scienza/2012/06/01/il-primo-brevetto-di-edison-34777.html

Il primo brevetto di Edison

143 anni fa Thomas Alva Edison brevetta un registratore di voto elettrografico per velocizzare le sedute del congresso. Un fallimento

 di Caterina Visco

Il primo brevetto

Il disegno del registratore di voto elettronico, la prima invenzione registrata da Edison il 1 giugno del 1869 (Credit: Wikimedia Commons)
 

Una cifra da capogiro. È quella relativa a tutti i brevetti registrati a nome di Thomas Alva Edison: 2332 in totale, 1084 solo negli Stati Uniti. Numeri che fanno del padre della lampadina il quarto inventore più prolifico di sempre. Il primo di questa lunga serie di brevetti gli venne assegnato per un registratore di voto elettrografico. Edison lo ottenne il primo  giugno 1869 a Boston (Massachusetts, Usa) dove lavorava come telegrafista. All'epoca Al, come veniva chiamato da ragazzo, aveva appena 22 anni, non aveva ricevuto un'educazione formale, era appassionato di chimica e aveva già cambiato diversi mestieri: era stato macellaio, fruttivendolo e appena adolescente era stato il primo a redigere, stampare e distribuire un giornale su un treno.

Il registratore di voto elettrografico aveva l'ambizioso obiettivo di velocizzare le votazioni delCongresso degli Stati Uniti, ma il suo meccanismo era piuttosto complicato. Nel progetto di Edison, ogni senatore poteva votare a favore o contro una determinata proposta girando verso destra o sinistra la manopola di un dispositivo posizionato sul suo banco. Il dispositivo era collegato a un grande tabellone ricevente, sul quale erano posizionate due placchette metalliche per ogni rappresentante, una per il sì e una per il no. Muovendo la manopola in un senso o nell'altro, un senatore inviava una piccola scarica dicorrente elettrica alla placca corrispondente. Alla fine della votazione un addetto alla registrazione passava un pezzo di carta chimicamente trattato davanti alle placche: la corrente avrebbe attivato il solvente presente sulla carta, rivelando il voto.

Convinto del suo valore, un amico di Edison portò il progetto a Washington, ma non ottenne altro che un rifiuto: “ Se esiste un'invenzione sulla Terra che proprio non vogliamo”, gli disse un senatore, “ è un dispositivo che velocizzi il processo di voto”. Il lungo tempo necessario alle votazioni, infatti, permetteva ai senatori di stipulare accordi sottobanco o scambiarsi promesse di voto.

Questo primo insuccesso non scoraggiò Al, lo spinse piuttosto a dedicare i suoi studi a un campo più familiare: il telegrafo. Il suo secondo brevetto infatti fu quello del tasto telegrafico a ripetizione, e gli fece guadagnare la notevole somma di 40 mila dollari di allora, pari a circa 700mila dollari di oggi.

Per ottenere oltre al denaro anche la fama l'inventore statunitense dovette aspettare il 1877, anno in cui inventò il fonografo. A quel tempo Thomas Alva, oltre a essere inventore, era anche un imprenditore di successo e un uomo molto ricco, e aveva già fondato la sua famosa fabbrica delle invenzioni. Con questo nomignolo era infatti conosciuto all'epoca il suo centro di ricerca di Menlo Park (oggi parte della cittadina di Edison).

 Questo articolo, invece, l'ho trovato nella rubrica: Italianvalley (la versione italiana dela silicon valley) http://italianvalley.wired.it/#?refresh_ce

Come diventare maker? Ecco da dove partire

Abbiamo messo insieme una lista di luoghi italiani dove si può imparare a diventare artigiani digitali, tra stampanti 3D ed elettronica fai-da-te. Aiutateci ad allungarla

 di Silvio Gulizia
Negli Usa, le scuole per maker ormai sono una realtà affermata. Al punto che i colleghi di Wired.comsono stati in grado di creare una classifica delle dieci migliori scuole dove imparare “cose che servono a pagarsi le spese”. Fra queste hanno inserito realtà online come Codeacademy, dove si impara a programmare, e Skillshare, dove si trovano lezioni di tutto in diverse città (mancano ancora le italiane).

In Italia per ora c’è poco, ma abbiamo provato a vedere quali sono le realtà attorno alle quali si sta sviluppando la realtà dei maker, il cui fenomeno ha avuto l’apice nel World Wide Rome svoltosi di recente a Roma e capace di attrarre 1.300 persone.

Punto di partenza quasi obbligatorio è il FabLab Italia di Torino, ospitato dalle Officine Arduino: uno spazio in cui tutti posso progettare e co-progettare o direttamente realizzare oggetti propri. Nel progetto è coinvolto anche Massimo Banzi, il creatore di Arduino.

A Milano troviamo Frankestain Garage, unica realtà italiana presente nella lista della Fab Academy. Nel laboratorio è possibile realizzare le proprie idee o confrontarsi con il team per ricevere aiuto per inventare, costruire, riparare o creare un prototipo. La stampante 3D Sharebot, di cui abbiamo parlato suItalian Valley, è nata proprio con l’aiuto del Garage. Il focus del laboratorio è sull’elettronica e si lavora molto con Arduino.

Sempre a Milano,  Vectorealism ha aperto il proprio laboratorio e trasforma progetti vettoriali in oggetti che poi vengono inviati ai clienti. Da buoni maker, ogni tanto organizzano dei workshop, come accaduto durante il Salone del Mobile.

Gli appassionati e le appassionate di moda dovrebbero dare un’occhiata a Openwear, piattaforma collaborativa per la realizzazione di abiti. Qui si impara confrontandosi con la comunità.

L’azienda fiorentina Kent’s Strapper, che produce e vende stampanti 3D, sta cercando di aprire anche nella città del giglio un FabLab. Sempre a Firenze c’è PlugandWear che lavora nel settore dello smart textile e organizza regolarmente workshop. A Ferrara abbiamo saputo ci sono alcuni studi di architettura che vorrebbero aggregarsi, ma non sappiamo ancora sotto che forma.

Per approfondire il tema il punto di partenza è sicuramente il neonato gruppo Facebook Fabber in Italia, che conta oltre duecento iscritti. Più in generale, è questo il modo di scoprire se vicino a voi c’è qualche comunità di questo mondo. Il “popolo dei maker”, come lo chiamerebbe qualcuno, esiste ed è in crescita. Ne fate parte? Segnalateci la vostra realtà nei commenti qui sotto.

E buona lettura!

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